Il taxi ripartì sollevando una nuvola di polvere. Andrej rimase immobile sul marciapiede, con la valigia in mano, lo sguardo fisso alle finestre del secondo piano. La luce in soggiorno era accesa. Per un momento, un’inquietudine inspiegabile lo attraversò: era la stessa casa, lo stesso pianerottolo, eppure qualcosa sembrava diverso. Più freddo. Più distante.
Salì le scale piano, come se ogni gradino rallentasse l’inevitabile. Inserì la chiave nella serratura, la porta si aprì senza fatica. Silenzio.
— Marina? — chiamò, posando la valigia nell’ingresso.
Nessuna risposta.
Il soggiorno era in ordine maniacale. Troppo. Le cornici fotografiche erano sparite dalla mensola. Sulla tavola, una busta bianca con il suo nome scritto a mano.
Andrej la prese esitante, sedendosi sul divano. La carta odorava di lavanda, come i cassetti di Marina.
Andrej,
Immagino che questa lettera non ti sorprenda più di tanto.
Mentre eri via, ho avuto tempo. Tempo per pensare, per capire, per rivedere ogni scena di noi due che ho custodito nel cuore troppo a lungo. Mi sono stancata di aspettare che tu mi scegliessi, mentre tu eri già altrove da mesi.
Sai cosa mi ha fatto capire davvero tutto? Non i messaggi cancellati, non le mezze verità. Ma il silenzio. Quel silenzio che hai portato in casa da quando hai conosciuto Vika. Un silenzio pieno di assenze, di sguardi sfuggenti, di parole non dette.
Ho parlato con qualcuno che mi ha aiutato a vedere le cose per come sono, senza più illudermi. No, non un investigatore. Una donna che mi ha raccontato la sua storia — simile alla mia. E mi ha fatto capire che restare, quando non c’è più amore reciproco, è solo un modo lento di morire.
Ho lasciato le chiavi nella busta. Lascio a te questo appartamento, e con lui tutte le decisioni che non hai mai avuto il coraggio di prendere. Io vado a cercare la mia vita, quella che mi sono negata per troppo tempo restando ferma.
Ti auguro sinceramente di essere felice. Con lei, o con te stesso.
Marina
Andrej rilesse la lettera tre volte, con la gola chiusa e le mani tremanti. Poi si alzò, vagando per le stanze vuote. Nell’armadio mancavano i vestiti di Marina. Dal bagno, tutti i suoi flaconi erano spariti. Sulla parete del corridoio, rimaneva l’ombra chiara dove era stata appesa la foto del matrimonio.
In quel silenzio irreale, Andrej capì che aveva perso qualcosa che non avrebbe mai più potuto recuperare.
Non era solo una casa a essere vuota. Era lui.