Tredici anni. Un tempo che per Steve era diventato un vuoto doloroso. Da quando Carol se ne era andata con sua figlia Alexandra, la sua vita aveva perso ogni senso. Aveva trentasette anni allora, un semplice capocantiere con i sogni cuciti addosso come vecchie scarpe rotte. Lavorava sodo per costruire un futuro, ma Carol voleva di più. Più glamour, più denaro, più Richard — il suo capo elegante e arrogante.
Quel giorno d’estate, tornato a casa sudato e stanco, trovò Carol pronta a colpirlo con parole taglienti: «Me ne vado. Richard ed io siamo innamorati. Porto con me Alexandra.» Nessuna possibilità di replica. La figlia, il suo sole, lo guardò senza dire nulla. Da quel momento, ogni telefonata non risposta, ogni lettera tornata indietro, gli aveva scavato una ferita nel cuore.
Gli anni l’avevano sfiancato. Malattie, solitudine, una casa venduta, un lavoro perso. Ma Steve era un uomo tenace. A cinquant’anni era riuscito a rimettersi in piedi, con una piccola impresa e un appartamento modesto. Tuttavia, l’assenza di Alexandra rimaneva come una stanza chiusa a chiave nel suo cuore.
Fino a ieri.
Nella cassetta delle lettere trovò una busta rosa, con la scritta tremolante: A Nonno Steve. Incredulo, aprì con mani tremanti. Le parole lo travolsero come un fiume: «Ciao Nonno, mi chiamo Emma e la mia mamma si chiama Alexandra. Mi ha raccontato di te. Dice che hai costruito ponti e palazzi, ma il più bello di tutti sarà quello che ti riporterà da noi.»
Steve si sedette lentamente, stringendo il foglio al petto. Lacrime scivolarono sul suo viso segnato. Alexandra gli aveva parlato alla figlia. Forse si era ricordata. Forse non era tutto perduto.
Per la prima volta dopo anni, Steve sentì un calore profondo nel petto. Non era più solo. Una bambina lo cercava, e con lei… anche una speranza.