— Dove hai preso questa foto? — Ivan impallidì quando vide la foto del padre scomparso appesa nel soggiorno della casa dove era appena entrato per un semplice lavoro tecnico.
La stanza era raffinata, piena di luce e silenzio. La cliente, una giovane donna dai capelli scuri raccolti in una treccia ordinata, si voltò sorpresa.
— Quella? È una vecchia foto di famiglia, credo. Era nello studio di papà… ma perché?
Ivan si avvicinò lentamente alla parete. Gli tremavano le mani.
— Quell’uomo… — disse a mezza voce — è mio padre. È scomparso più di trent’anni fa.
Un lungo silenzio cadde nella stanza. La ragazza impallidì a sua volta.
— Ma… impossibile. Lui è mio padre.
Ivan la fissò. Gli occhi di lei… grigi. Come i suoi. Come quelli dell’uomo nella foto.
— Come si chiama? — chiese Ivan, con un filo di voce.
— Si chiama Andrei Petrov. Ma… fino a poco tempo fa si chiamava con un altro nome, credo. Ho trovato dei documenti vecchi… Alexei Ivanovich. Non capisco.
Ivan sentì le gambe cedere e si sedette sulla sedia in pelle dello studio.
— Mio padre si chiamava Alexei Ivanovich, — sussurrò. — È scomparso una mattina, senza lasciare traccia. Mia madre lo ha aspettato tutta la vita.
La ragazza si avvicinò, visibilmente scossa.
— Lui è ancora vivo. È malato, da qualche mese vive in una clinica privata in Svizzera. Non parla molto del passato. Dice solo che “un giorno dovrà spiegare tutto”.
Ivan inspirò profondamente. Non riusciva a capire se provava rabbia o sollievo. Trent’anni di silenzio, di speranza, di notti passate a cercare un volto, una traccia. E ora era qui. Una foto su un muro. Un nome cambiato. Una nuova figlia.
— Voglio vederlo, — disse infine. — Devo parlargli. Per mia madre. Per me.
Lei annuì, gli occhi lucidi.
— Lo porterò indietro, — promise. — Anche io ho bisogno di sapere.
Fuori, il cielo si era tinto di oro. Ivan guardò ancora una volta la foto. E per la prima volta, dopo anni, sentì che forse — forse — qualcosa stava per ricomporsi.