Quel giorno, mentre attraversava il corridoio per raggiungere la mensa, Lilya notò per la prima volta quel ragazzino.

Tutto ebbe inizio in un giorno qualunque, in una scuola elementare nel cuore di una città grigia, dove i muri erano pieni di disegni stinti e l’odore della minestra scolastica sembrava aver impregnato l’aria da decenni.

Lilya aveva otto anni e portava sempre con sé una borsa troppo grande per le sue spalle magre. Dentro, oltre ai quaderni e alle matite, sua madre infilava ogni mattina un panino enorme e un piccolo dolce fatto in casa: “Meglio avere qualcosa in più da offrire”, le diceva sempre.

Quel giorno, mentre attraversava il corridoio per raggiungere la mensa, Lilya notò per la prima volta quel ragazzino. Sedeva nell’angolo più lontano della sala, da solo, con le braccia incrociate e lo sguardo fisso sul tavolo. Nessun vassoio, nessun cibo, solo un silenzio ostinato intorno a lui.

Non era la prima volta che lo vedeva, ma per qualche motivo, quel giorno fu diverso. Forse fu il modo in cui lui abbassava lo sguardo ogni volta che qualcuno passava. Forse fu il rumore del suo stomaco che arrivò fin dove lei si trovava. Forse fu solo il cuore di Lilya che decise di fare una cosa semplice, ma grande.

Si avvicinò, senza chiedere niente, e mise il panino sul tavolo.

«Se non lo mangi tu, lo mangio io due volte,» disse scherzando. Poi si sedette accanto a lui e cominciò a parlare del suo cane.

Il ragazzino si chiamava Sasha. Aveva gli occhi più grandi che Lilya avesse mai visto e un silenzio addosso che sembrava cucito. Ma giorno dopo giorno, panino dopo panino, cominciò a sciogliersi. Raccontava poco, ma quando lo faceva, parlava di razzi, ponti sospesi e invenzioni incredibili. Lilya non capiva tutto, ma ascoltava.

Diventò un rituale. Ogni giorno, lei divideva il suo pranzo, e lui le raccontava un sogno.

Poi venne il tempo della scuola media, poi il liceo. Le strade si separarono, come succede spesso. Lilya si fece strada nella vita con la stessa generosità che aveva avuto da bambina. Studiò letteratura, si appassionò alle lingue, e alla fine incontrò un ragazzo gentile con cui decise di sposarsi.

Il giorno del matrimonio era perfetto. Gli invitati si radunavano in un giardino pieno di luci bianche e fiori freschi, mentre Lilya, con il vestito bianco che ondeggiava come una nuvola, si preparava a vivere il giorno più bello della sua vita.

Fu allora che vide un volto in mezzo alla folla. Alto, elegante, con un sorriso incerto ma pieno di luce. Gli occhi, però, erano gli stessi. Quegli occhi grandi, capaci di contenere il mondo.

«Lilya?» disse. «Non so se ti ricordi di me. Sono Sasha. Tu… tu un giorno mi hai dato metà del tuo panino. E io non ho mai dimenticato.»

Lei non disse nulla per un momento. Poi scoppiò a ridere. Una risata limpida, meravigliata, felice.

«Sasha! Ma che…?»

«Lavoro in Germania adesso. Sono ingegnere aerospaziale. Ho visto il tuo nome su un annuncio online — il matrimonio, il tuo cognome. Ho pensato: magari è lei. E se è lei, voglio esserci.»

Il futuro marito, curioso, si avvicinò. Lilya glielo presentò, ancora incredula. E Sasha raccontò loro la storia del panino, della fame, del sogno che era cresciuto proprio lì, su quel tavolo della mensa.

Quel giorno, Lilya capì che un piccolo gesto può cambiare una vita. Ma non solo quella di chi lo riceve. Anche di chi lo fa.

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